Origini e sviluppo della Filef

La Federazione italiana dei lavoratori emigrati e famiglie, in acronimo FILEF, è stata fondata nel novembre 1967 ad opera di Carlo Levi, Paolo Cinanni e di altri intellettuali, artisti e attivisti sociali e politici, tra cui Ferruccio Parri, Renato Guttuso, Claudio Cianca, Gaetano Volpe, in un momento storico in cui era ancora in atto il flusso di emigrazione di massa interna e internazionale iniziato nel dopoguerra, che portò circa 8 milioni di italiani all’estero. Con la nascita delle associazioni della FILEF in tutti i paesi di emigrazione e nelle regioni italiane si è determinata una partecipazione attiva e diretta di centinaia di migliaia di lavoratori emigrati che, per la prima volta nella storia dell’Italia, hanno rappresentato essi stessi i loro problemi di vita e di lavoro e ne hanno proposto le soluzioni, unitarie e mai corporative, nell’ambito della realtà complessa delle società estere e della nazione.

La FILEF, sulla base dell’insegnamento di Levi e di Cinanni, assume che sono di competenza dello Stato italiano e di quelli esteri le soluzioni di tanti problemi sociali, politici, sindacali, culturali, legati alla presenza di grandi collettività migranti, dei quali, fino al 1967, vi erano accenni di soluzioni assai parziali e limitate, per lo più di natura previdenziale e assistenziale, e solo in parte, già affrontati dalle ACLI a partire dal 1950.

Con la nascita della FILEF avveniva una svolta che interessò il complesso della politica internazionale e degli Stati, compresa la Comunità europea che, allora, era ai suoi primi passi, e alla quale la FILEF presentò in due occasioni, nel 1971 e nel 1973, un “libro bianco” sulla condizione degli emigrati e una proposta di “statuto internazionale dei diritti dei migranti”, poi divenuto il testo fondamentale per norme generali per una politica dell’emigrazione. Il medesimo testo ha fornito i canoni più recenti per una politica riguardante tutte le immigrazioni e le stesse norme accolte nella legge italiana n.40/1998 concernente i lavoratori immigrati.

 

STATUTO

In breve sintesi lo Statuto e le linee di azione della FILEF si fondarono sui seguenti principi:

  1. la parità delle condizioni con i cittadini nazionali nei luoghi di lavoro e nella vita sociale con pari diritti previdenziali, di sicurezza e di norme di vita;
  2. una nuova politica del paese di origine dell’emigrazione per la tutela diretta, diplomatica e generale dei propri cittadini all’estero, e, intanto che duri l’emigrazione, tendente a rimuoverne le cause economiche e sociali che l’hanno determinata e favorirne il progressivo rientro nella concezione che l’emigrazione è una perdita non solo umana ma anche economica;
  3. la diretta partecipazione delle organizzazioni dell’emigrazione alla discussione e all’approvazione dei provvedimenti necessari e la nascita in Italia e all’estero di organismi di tale partecipazione, come il Consiglio degli italiani all’estero e le Consulte regionali.

Così avviata la questione, è sorto un intero nuovo capitolo nel diritto internazionale. L’originalità dell’esperienza della FILEF è stata ripresa da altre collettività di emigrati di altri paesi. Ciò ha corrisposto, comunque, al segno dei tempi, fondato sulla partecipazione alla vita politica e ai sistemi democratici, parlamentari e rappresentativi. Per altro, la FILEF ha consolidato nel tema la generale tendenza verificatasi in ogni parte del mondo dopo la seconda guerra mondiale, di cui sono state sintesi politiche internazionali e pacifiche leNazioni Unite e la Carta dell’ONU e la Carta dei diritti umani fondamentali, che prevedono, in sostanza, la parità, la democrazia delle istituzioni e il divieto di qualsiasi discriminazione.

Il nuovo clima, dopo il 1945, ha rappresentato la più vasta novità sociale e anche teorica nell’esistenza delle immigrazioni. Queste sono esistite in ogni fase della civiltà umana. Anzi la storia della civiltà umana è storia dei movimenti dei popoli e delle immigrazioni. Il fenomeno dell’emigrazione italiana non avviene a partire dal 1860, anche se in quell’anno se ne determinarono i cospicui movimenti verso le Americhe e specialmente dall’Italia Meridionale (questione meridionale). L’emigrazione è antica quanto la società umana, e il famoso apologo di Pericle (V secolo a.C.) già accennava all’esempio di Atene, dove nessuno era considerato straniero e dove erano vigenti le leggi dell’umanità e della parità, anche non scritte. Dopo oltre venti secoli la Carta dell’ONU e quella dei diritti umani raccoglievano quei principi. Si trattava, tuttavia, di principi illuministici “trattati in alto” e, per gli emigranti, formulati come “concessione”. La vera svolta, nella quale si è collocata la FILEF, è consistita nella diretta partecipazione di masse umane nuove nella politica delle nazioni. “Non più cose ma protagonisti”, fu uno dei motti del primo congresso della FILEF.

Fu Carlo Levi, scrittore, storico, filosofo e politico italiano, pittore e primo Presidente della FILEF, che lo coniò riassumendo gli indirizzi culturali e storici e il programma della nuova organizzazione, che si può riassumere nella politica della FILEF.

 

Dai diritti all’emigrazione/immigrazione “come risorsa”

Il percorso storico della FILEF, l’impegno sui grandi temi del lavoro degli emigrati, dei loro diritti di cittadinanza, della tutela assistenziale e previdenziale, del riconoscimento del ruolo insostituibile della donna in emigrazione, hanno portato al formarsi di un’identità cosciente e forte. Nel suo ruolo principale di tramite con il Paese d’origine, di tutela e riconoscimento dei diritti all’integrazione, la FILEF si è fatta quindi promotrice, nel periodo che va dalla metà degli anni’80 agli anni 2000 (quando i flussi si fermano e l’emigrazione del dopoguerra si stabilizza e si integra nei paesi ospiti), di un nuovo modo di concepire l’emigrazione anche come potenzialità di sviluppo per il paese di origine dei flussi, grazie alla funzione di raccordo, di sviluppo delle relazioni sociali, politiche ed economiche che possono assolvere le comunità emigrate in un contesto di crescente globalizzazione. In questo senso, si intendeva sperimentare la possibilità e l’opportunità di recuperare almeno in parte ciò che, secondo Paolo Cinanni e Carlo Levi, era stata una enorme e secca perdita umana, sociale ed economica per l’Italia. Per questo la FILEF ha sviluppato importanti attività di ricerca seguendo i cambiamenti nella struttura delle collettività emigrate nella lunga fase della ristrutturazione industriale durante la quale si è registrata l’espulsione di grandi masse di lavoratori immigrati nei paesi più avanzati e la crescita all’interno delle collettività emigrate del lavoro precario, autonomo e anche della piccola impresa.

Accompagnare le nuove necessità e le nuove istanze ed opportunità, sviluppare le potenzialità della risorsa interculturale e plurilinguistica presente nelle nuove generazioni delle collettività emigrate, reindirizzare le politiche e tessere una nuova rete di legami forti tra gli emigrati e l’Italia, tramite la sua capillare rete di sedi in Italia e all’estero, è stata in questo periodo, la priorità delle organizzazioni della FILEF.

Coerentemente con questi orientamenti, la FILEF ha realizzato una serie di progetti pilota di formazione linguistica e professionale per i giovani delle nuove generazioni, di orientamento per il lavoro autonomo e le piccole imprese degli italiani all’estero in diversi ambiti e settori, ha organizzato iniziative informative e culturali diffuse, ed ha aperto e stimolato nuovi modalità e canali di informazione e di relazioni attraverso internet.

Parallelamente alla crescita dei flussi di immigrazione terzomondiale in Italia che inizia nello stesso periodo, molte organizzazioni regionali della FILEF hanno tradotto l’esperienza decennale acquisita in emigrazione, a sostegno dei processi di integrazione, di tutela e di assistenza delle comunità immigrate nel nostro paese. Proprio per questo nel 7° Congresso svoltosi a Perugia, l’acronimo FILEF, pur restando inalterato, viene a definire la Federazione Italiana dei Lavoratori Emigranti e delle loro Famiglie.

Queste esperienze hanno costituito in questi anni, linee di orientamento riconosciute, acquisite e fatte proprie dal più ampio tessuto associativo sia in Italia che all’estero ed hanno improntato l’azione istituzionale sia a livello centrale che regionale nei due ambiti dell’emigrazione e dell’immigrazione. I cambiamenti nei piani di intervento del MAE, del Ministero del Lavoro e delle Regioni avvenuti negli ultimi decenni si fondano in buona parte sulle proposte praticate dalla FILEF. Analogamente, l’approccio innovativo sperimentato parzialmente verso le comunità immigrate in diversi contesti locali si è valso di tali esperienze.

 

Crisi epocale e ripresa di grandi flussi di nuova emigrazione e di immigrazione

Con lo scoppio della grande crisi del 2007 che aveva già avuto le sue avvisagli all’inizio degli anni 2000, si assiste alla ripresa di grandi flussi migratori dal sud del mondo e negli ultimi 5 anni, nuovamente anche da tutto il sud Europa e dall’Italia. La FILEF in questo contesto ha riproposto l’urgenza di adeguate politiche di accoglienza, di integrazione e di salvaguardia e parità di diritti per chi arriva e, allo stesso tempo, ha richiamato l’attenzione politica e istituzionale sul rischio della ripresa di consistenti flussi di nuova emigrazione in gran parte giovanile e di medio-alta qualificazione dall’Italia verso i paesi del nord Europa e verso destinazioni transoceaniche.

La FILEF ritiene che questi nuovi flussi di emigrazione non possano essere banalmente definiti come “nuova mobilità” internazionale delle forze di lavoro generate dalla globalizzazione ed in quanto tali ritenuti normali e naturali. Tali nuovi flussi si muovono nella grande maggioranza solo in una direzione (per quanto riguarda l’Europa, da sud a nord) e ciò significa che siamo di nuovo di fronte, pur in contesti diversi, ad una dinamica di impoverimento demografico, sociale ed economico di alcuni paesi rispetto al parallelo rafforzamento di altri paesi. Lo spread migratorio che si genera, per quanto riguarda l’Italia, conferma una tendenza secolare all’incapacità di valorizzare adeguatamente le proprie risorse umane e ciò pone, come ci ha insegnato oltre 40 anni fa Paolo Cinanni, un problema oggettivo di responsabilità delle classi dirigenti del paese e una seria riflessione sulle scelte da fare nell’immediato e nei prossimi anni.

Nell’immediato vanno approntate misure di orientamento e di accompagnamento ai nuovi flussi, in modo da non lasciare solo chi è costretto a emigrare e di mantenere relazioni con questi giovani che costituiscono un patrimonio indispensabile per il paese, di tutela, assistenza e sostegno alla ricorsiva mobilità anche da paese a paese che sono costretti a subire a causa di un mondo del lavoro sempre più precario, di aggiornamento degli accordi internazionali tra Italia e altri paesi extraeuropei, mentre per quanto riguarda la EU, va sollecitato lo sviluppo di programmi specifici a livello comunitario. In queste misure, da varare sia a livello centrale che regionale, vanno coinvolte le organizzazioni associative e di servizio che sono state fondate in tanti anni dagli emigrati, dal mondo sindacale e associativo e che costituiscono il vero tessuto connettivo dell’emigrazione italiana nel mondo.

 

 

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